Invocazione del perdono divino – Mi 7,14-15.18-20

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Mi 7,14-15.18-20

Pasci il tuo popolo con la tua verga, il gregge della tua eredità, che sta solitario nella foresta tra fertili campagne; pascolino in Basan e in Gàlaad come nei tempi antichi. Come quando sei uscito dalla terra d’Egitto, mostraci cose prodigiose. Quale dio è come te, che toglie l’iniquità e perdona il peccato al resto della sua eredità? Egli non serba per sempre la sua ira, ma si compiace di manifestare il suo amore. Egli tornerà ad avere pietà di noi, calpesterà le nostre colpe. Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati. Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà, ad Abramo il tuo amore, come hai giurato ai nostri padri fin dai tempi antichi.

 

La predicazione del profeta Michea va collocata negli ultimi decenni del sec. VIII a.C., nella stessa epoca di Isaia. Agli oracoli di denuncia per le gravi situazioni di ingiustizia e di male di cui il profeta è spettatore, si alternano quelli di consolazione e promessa, come quello qui riportato.

Ci basti raccogliere un solo pensiero. Nel cammino della Quaresima – anche quella difficile attuale – quelle parole antiche si fanno molto vicine. Soprattutto nella speranza: gli eventi prodigiosi dell’Esodo non sono finiti. Le misericordie del Signore non sono finite. Occorre coltivare l’umiltà e la pazienza – che sono le grandi amiche della speranza – per prepararsi a viverne. Non è forse vero che nell’amicizia con Gesù si tocca con mano questa grazia di perdono e di bontà che dona pace e gioia?

d. Fabrizio