La vita secondo gli empi – Sap 2,1a.12-22

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Sap 2,1a.12–22

Dicono [gli empi] fra loro sragionando:
«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo
e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio
e chiama se stesso figlio del Signore.
È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri;
ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la sua vita non è come quella degli altri,
e del tutto diverse sono le sue strade.
Siamo stati considerati da lui moneta falsa,
e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure.
Proclama beata la sorte finale dei giusti
e si vanta di avere Dio per padre.
Vediamo se le sue parole sono vere,
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza
e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».
 
Hanno pensato così, ma si sono sbagliati;
la loro malizia li ha accecati.
Non conoscono i misteriosi segreti di Dio,
non sperano ricompensa per la rettitudine
né credono a un premio per una vita irreprensibile.


Il brano è tratto dal libro della Sapienza. Composto intorno alla seconda metà del I sec. a.C. negli ambienti della diaspora giudaica (probabilmente presso Alessandria d’Egitto), si tratta di uno scritto profondamente religioso che riflette un incontro riuscito tra la fede ebraica la cultura greca. Il libro prende il nome dal tema principale trattato, la ‘Sapienza’ appunto, presentata come una realtà spirituale autonoma dispensatrice di ogni bene. I primi scrittori cristiani la vedranno personificata in Gesù di Nazareth. La prima parte del libro (capp. 1-5) è dedicata al confronto tra i giusti e gli empi: la loro vita, i loro pensieri e la loro sorte ultima. Da qui è tratto il testo citato.

Un buon modo per pregare a partire da questo brano è quello lasciarsi interpellare dai pensieri degli ≪empi≫: ricordare se in coscienza si è fatto come loro, oppure ricordare le reazioni provate quando si è stati trattati in quel modo.

È un esercizio difficile, comunque lo si voglia affrontare, ma salutare. Riconoscere di avere coltivato come gli empi sentimenti di malizia gratuita e accanita può indurre vergogna, ma anche il desiderio di chiedere perdono per cambiare vita. Al contrario, il ricordo di una persecuzione, magari sottile, a motivo della fede può risultare molto doloroso, ma anche un’occasione per imparare a prendere le distanze da se stessi e ragionare lucidamente. Certe derisioni, in effetti, dispensate con perfidia per minare l’autostima sortiscono l’effetto opposto quando vengono meditate con lucidità. Perché si può chiedere perdono per azioni cattive; lo si deve fare se c’è stata incoerenza; è educato farlo se si sono commessi errori. Ma non lo si può certamente fare per la propria fede: professare l’amore di un Dio che ≪dona la propria vita per salvare gli altri≫ non può essere una cosa di cui vergognarsi. Non si chiede scusa per i valori della generosità, della dedizione e della cura. Essi sono il bene. Può essere utile a tale proposito constatare che la gente onesta – quella che ha la coscienza pulita – non si sofferma quasi mai sui difetti che tutti hanno quando riconosce di avere di fronte persone (o istituzioni) buone. E sa riconoscere che è tale il bene che certuni sono stati capaci di fare in buona fede che proprio non bada agli errori che hanno commesso durante il cammino. Talvolta, neanche ai loro peccati. È sempre attuale il pensiero espresso in 1Pt 4,8.

Può essere utile per approfondire la preghiera accostare le parole del brano ad altre pagine della Scrittura: soprattutto quelle delle tentazioni di Gesù nel deserto e quelle della sua passione.

Nelle prime, Satana sfida Gesù mettendo in discussione proprio la sua identità: ≪Se tu sei il Figlio di Dio…≫. Tentazione perfida, fatta apposta per mandare in crisi le sue convinzioni e i suoi valori. Ad essa Gesù resiste sostenuto dalla preghiera, mostrando che Dio è il Bene e seguirlo significa ritrovarsi. Anche quando ≪apparentemente≫ (ecco il veleno della seduzione!) tutto sembra sussurrare il contrario.

Nelle seconde, che sono quelle ≪del tempo opportuno≫ (Lc 4,13), Satana ritorna per sfidare l’orgoglio di Gesù e indurlo ad una reazione spettacolare, violenta, scontata, solo ≪apparentemente≫ giusta ma in realtà distruttiva. ≪Fa vedere chi sei!≫: è questo pensiero nascosto di chi assiste ridendo al suo supplizio. Gesù reagirà alla tentazione mostrando chi è veramente non mediante un atto di forza ma mediante un (unico perché definitivo) atto di amore. Particolare curioso: sarà, proprio un centurione romano, un militare abituato alla forza e al potere, un uomo abituato a farsi valere, colui che riconoscerà Gesù come Figlio di Dio vedendolo consegnare la propria vita sulla croce in riscatto per i molti…

d. Fabrizio